Sindrome autunnale della vacca da latte

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Cosa succede dopo l’estate?

Analisi delle principali problematiche riscontrate nei mesi di fine estate e autunno.

È noto come il rallentamento produttivo e la diminuzione del latte nei mesi estivi sia una combinazione di condizioni ambientali sfavorevoli (caldo e umidità) e l’allungamento dei giorni medi di lattazione (graf. 3).
Di conseguenza ci si potrebbe aspettare un rialzo delle produzioni non appena le temperature ricominciano ad abbassarsi, quindi tra fine agosto e settembre. Ma questo non succede!

Valutiamo quindi i vari aspetti di quella che possiamo definire come sindrome autunnale della vacca da latte.

Analizzando i grafici della situazione italiana (graf. 1 e 3) è evidente che i mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre sono quelli con la minore produzione. Andamento opposto nell’emisfero australe (in particolar modo estrapolando i dati di consegna in Nuova Zelanda) sono i più produttivi dell’anno (graf. 2).

Sono, quindi, diversi i fattori che influiscono sulla mancata produzione di latte: lo stress da caldo, il fotoperiodo, la gestione della rimonta e la presenza di vacche fresche. In questo articolo analizzeremo le prime due condizioni.

Stress da caldo

Come definizione possiamo affermare che lo stress da caldo è l’insieme delle forze correlate alle alte temperature che inducono nell’animale dei cambiamenti a diversi livelli (dal subcellulare al macroscopico); essi aiutano
l’animale ad adattarsi alle alterazioni fisiologiche.

Come documentato in diversi studi a livello mondiale l’effetto delle alte temperature sui bovini sia da latte che da carne, causa rilevanti perdite economiche.
Come ormai noto, per determinare lo stato di stress da caldo, si utilizza una formula (che si trova in tutti i libri di zootecnia) e che mette in relazione due parametri specifici: la temperatura e l’umidità:

sindrome autunnale della vacca da latte

Già dagli anni 80 si riteneva che una vacca da latte andasse in stress da caldo con un THI di 72 (ad esempio THI di 72 = 27°C e 30% di umidità).
Oggi però, dove il miglioramento genetico ha fatto passi da gigante, dando la possibilità di allevare animali con produzioni elevate e molto efficienti non ha più senso porre a 72 questo
limite.
In base alle attuali conoscenze è molto più corretto porre come soglia un THI di 68, che tradotto significa: 22°C e 50% di umidità.

Dal un punto di vista metabolico durante le alte temperature estive…

la vacca da latte cerca di dissipare la massima quantità di calore possibile; una delle strategie fisiologiche che può mettere in atto è la vasodilatazione periferica: questo favorisce un maggiore afflusso di sangue verso le zone esterne e quindi una maggiore dispersione termica.

Baumgard, dell’Iowa State University, ha dimostrato che a un aumento della vasodilatazione periferica corrisponde un fenomeno di vasocostrizione a livello intestinale, con contrazione dei villi e riduzione della capacità di assorbire i nutrienti.

Questo ridotto afflusso di sangue a livello viscerale, porta a una scarsa disponibilità di ossigeno e quindi a una alterazione della integrità della superficie assorbente intestinale. La stessa ricerca ha anche messo in
evidenza che la ridotta produzione di latte è dovuta per il 50% alla perdita di ingestione volontaria, e per l’altro 50% all’effetto dello stress da caldo sulle modificazioni istologiche dell’intestino.

Durante lo stress da caldo, la diminuita ingestione di sostanza secca, unita alla perdita di capacità tampone del rumine aumenta il rischio di acidosi.

sindrome autunnale della vacca da latte

L’associazione tra il ridotto afflusso di sangue al sistema enterico e l’acidosi ruminale e intestinale estende la condizione di affaticamento del digerente, compreso un aumento dello stress ossidativo.
Quest’ultimo induce uno sbilanciamento tra la produzione e la rimozione di perossidi e radicali liberi che causano morte cellulare e danni ai tessuti.

In situazioni di stress da caldo anche a livello ruminale la flora batterica perde di efficienza con peggioramento della sintesi della proteina microbica, della digestione della fibra e della bio-idrogenazione degli acidi grassi insaturi con conseguente diminuzione della qualità del latte.

Tutte queste problematiche oltre a peggiorare le performance produttive hanno anche un impatto negativo sulla salute della vacca.

In questa situazione ha dato risultati positivi la somministrazione di sostanze antiossidanti che neutralizzando i radicali liberi, migliorano lo stato metabolico dell’animale e la normale funzionalità del rumine.
Gli antiossidanti per la loro capacità di proteggere le cellule dall’azione tossica e degenerativa dei radicali liberi e dei perossidi, aiuta a ripristinare nella vacca in stress da caldo il normale equilibrio ossidativo. Questa azione
si ripercuote positivamente anche sulla ingestione di sostanza secca durante il periodo estivo.

Scopri la linea Normoterm, ideale durante il periodo estivo:

 

Fotoperiodo

Il fotoperiodo, ovvero la durata delle ore di luce durante il giorno, ha un’influenza significativa sul comportamento e la produzione di latte delle vacche da latte e incide nella sindrome autunnale della vacca da latte.

Lo stimolo di luce o buio attraversa il bulbo oculare e percorrendo il nervo ottico va a modificare l’attività della ghiandola pineale o epifisi. Questa ghiandola è una sorta di orologio interno, sensibile a durata e intensità della luce.

La ghiandola pineale secerne la melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno/veglia e influenza il sistema immunitario, il sistema riproduttivo e la lattazione.
Non tutte le fasi della vita di una vacca da latte, però, rispondono allo stesso modo. Analizziamo le differenze tra periodo di lattazione e di asciutta.

Fase di lattazione

Durante la lattazione la maggior produzione di latte avviene quando la luce del giorno è in aumento, in modo significativo quando le ore di luce superano le 14 ore. Infatti, l’esposizione alla luce non permette la secrezione della melatonina per la maggior parte della giornata e favorisce la secrezione di prolattina e IGF-1, due ormoni che influenzano l’attività della ghiandola mammaria. Le ricerche hanno dimostrato un aumento di produzione in vacche in latte esposte a fotoperiodo lungo rispetto ad animali in condizioni naturali.

Il grafico 5 (da Geoffrey e Dahl, 2001) riassume 9 studi che hanno registrato importanti effetti positivi sulla produzione a seguito all’esposizione costante a 16 ore di luce al giorno. Con fotoperiodo positivo, inoltre, il metabolismo e il sistema immunitario sono più efficienti.

Fase di asciutta

Al contrario di vacche in latte e manze, il gruppo delle asciutte e delle manze preparto sembra ottenere risultati migliori dopo l’esposizione a un periodo con fotoperiodo breve con sole 8 ore di luce quotidiane (Miller et al.,2000).

Il grafico 6 (da Geoffrey e Dahl, 2001) riporta la differenza di produzione nella lattazione successiva di 2 gruppi di vacche asciutte (produzione equivalente nella lattazione precedente) esposti a LDPP – fotoperiodo  lungo con 16 ore di luce e 8 di buio al giorno – (linea con quadrati rosa) e SDPP – fotoperiodo breve con 8 ore di luce e 16 di buio al giorno – (linea con quadrati rossi).

L’esposizione per 2-3 settimane nel preparto a un  fotoperiodo breve per questi animali sembra essere una sorta di reset della loro capacità di rispondere all’esposizione a un maggiore numero di ore di luce dopo il parto.

In conclusione, attraverso la manipolazione del fotoperiodo, quindi della durata all’ esposizione alla luce delle bovine in lattazione, è attendibile ottenere benefici sulla produzione, latte, fertilità, crescita, ed efficienza del sistema immunitario.

 

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